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EREDITA UMANA DI DUE SECOLI DI LAVORI FEMMINILI

 

Documenti delle famiglie Squarcialupi,

De Stefani, Stagni e Tamburlini

e delle loro donne

 

In questa nuova sezione del museo è stato raccolto ciò che rimane di quattro generazioni di donne di una stessa famiglia, vissuta fra Ronchi e Cavenzano dagli inizi dell'800. Di tutte queste donne rimangono molti degli oggetti che hanno fatto parte della loro vita e che sono state loro stesse ad eseguire.

Non si tratta, quindi, né di una collezione né di una raccolta, ma di una testimonianza giunta fino a noi senza interferenze di manipolazioni, anche se certi oggetti raffinati possono contrastare con lavori più umili ed oggetti più semplici.

 

Le donne delle quattro famiglie si esprimevano, infatti, con quella che era la loro vita quotidiana e le molte difficoltà che nei secoli hanno attraversato le loro numerose famiglie, ma traevano anche spuntí e ispirazione dai sogni che a loro giungevano da giornali, riviste, cataloghi francesi, inglesi e tedeschi, nonché da quelli italiani di "al di là" del vicino confine.

 

Gli imparaticci. Una delle parti più interessanti della sezione è quella dedicata agli "imparaticci", cioè i lavori di cucito, ai ferri e all'uncinetto, eseguiti a scuola dalle bambine per imparare le arti femminili, da quelle più umili a quelle più raffinate.

Le abbondanti testimonianze, fin dai primi decenni dell'800 racchiuse nelle bacheche, tramandano gli sforzi delle piccole per giungere alla perfezione assoluta anche quando lavoravano su toppe e rammendi. Non si tratta di anonime piccole esecutrici, perché le date, le iniziali del nome o il nome per esteso consentono di individuarle chiaramente, di dare loro un volto, di unirle alla loro storia di vita.

 

I corredi dei bambini. I bimbi, quando nascevano, erano accolti come piccoli principi, con corredi regali forse mai adoperati per conservare intatta la loro bellezza fatta da intarsi, di pizzi, di ricami, di greche ornamentali.

In particolare tredici camicine, una diversa dall'altra, sono quanto di più raffinato potesse produrre una mamma, una nonna o una zia che dovevano lavorare alla luce del lume a petrolio. Anche le tredici camicine furono poco adoperate, perché troppo belle e fragili e perché fragile era stato il breve percorso di vita del bimbo o della bimba ai quali erano stati destinati. Ora sono esposte accanto alle partecipazioni ed ai telegrammi che ne annunciavano la nascita.

 

La biancheria femminile. Poco rimane della biancheria delle donne, perché ogni capo veniva usato fino alla consunzione, anche se c'erano sempre altri capi di scorta "guai un mal".

È rimasto quindi quanto basta per farsi un'idea di quali sacrifici dovevano sopportare le donne alla fine del secolo per farsi inguainare negli impietosi busti da 61 centimetri di circonferenza o per modificare le loro forme col cosiddetto "cul de Paris" che, oltre a renderle più seducenti secondo la moda del tempo, alimentava generosamente i sarcasmi dei vignettisti.

Attraverso le quattro bacheche dedicate agli “intimi femminili" si assiste al passaggio dalla biancheria "bianca" a quella tenuemente colorata degli anni '30 ed a quella ruvida, casereccia, della Seconda Guerra Mondiale, durante la quale le donne dovettero giostrarsi fra l'austerità dello spirito, i sottili impulsi alla seduzione e l'autarchia dell'economia.

 

Le frivolezze. Ma le frivolezze, nonostante i tempi e le ristrettezze economiche, riuscirono sempre ad incunearsi nell'abbigliamento femminile ed anche nella sezione del museo hanno un loro importante spazio. Accessori come i guanti, le mezze maniche all'uncinetto, le borse, le sciarpe, gli "jabots" non arrivavano mai a consunzione e quindi è ricca la loro sopravvivenza fatta dì trasparenze, di capacità creative, di raffinatezze e dì fantasia.

Anche nel lungo periodo del lutto e del semilutto, le frivolezze comparivano per accentuare la continuità della vita sottoforma di pizzi, di apposita bigiotteria, di tessuti "ad hoc" e di velette che privatizzavano il dolore attenuando i segni che esso lasciava sul volto.

 

La casa. Anche la casa visse le sue mode attraverso il lavoro delle donne, sotto le travi annerite dal fumo o lungo i ciuffi biancastri delle muffe sulle pareti.

Proprio a quello pensarono le donne con gli arazzi da mettere sotto le finestre, con le tende per nascondere le incrinature dei vetri, con l'uso diffuso del "pizzo friulano" per il quale anche nei periodi più bui era possibile trovare il filato, consistente anche in semplice spago ed inoltre le donne ricamarono senza tregua tovaglie e centrini, rotondi, quadrati, rettangolari, ovali, sagomati, bianchi, colorati.

Li fecero anche ai ferri e all'uncinetto e persino dipinti. Poi vennero anche i cuscini, squadrati e geometrici, ovali e morbidi e persino un cuscino a forma di cane pechinese, amato dai bimbi non usi ancora a maneggiare animali di peluche.

 

I contenitori. Delle famiglie e delle case rimangono ancora alcuni generi di contenitori: dal fiasco "impagliato" ma all'uncinetto, alle scatole di latta la cui prima funzione era stata quella di contenere biscotti o caramelle e che poi furono contrassegnate da un continuo uso e riuso, pratico e decorativo, del quale portano segni evidenti.

Sono sopravvissute anche le scatole di cartone fra le quali una fantasiosa, per scarpe, risalente all'immediato dopoguerra del secondo conflitto mondiale, dove il nudo e rustico cartone è ricoperto dai fogli di una rivista a colori.

 

Il mare, La curiosità della sedia a sdraio ricamata è forse unica per un museo dove tanta parte hanno i lavori femminili e la storia delle donne. Si tratta di un ricamo "eroico" se lo si giudica dallo spessore del tessuto recuperato, cioè un il "coledor", stoffa pesantissima di canapa e cotone che aveva un ruolo importante nel complesso ciclo del bucato bimestrale e trimestrale, che per la quantità, nonché per la pesantezza dei capi da lavare, era un avvenimento famigliare di grande portata.

Il "coledor" serviva, infatti, per contenere la cenere che doveva sbiancare il bucato e sulla quale si gettava una grande quantità di acqua bollente. Per questo il "coledor" doveva resistere al peso di acqua e cenere e filtrare lentamente lo sbiancante. Ma il mare - che era poi quello di Grado - è rappresentato anche dagli ombrellini bianchi ricamati, da quello nero a cupola con manico piccolissimo d'avorio, da un costume da bagno di lana a righe bianche e nere, da cuffie e borse e dalla foto dì una famigliola in eleganti pigiami da spiaggia.

 

I viaggi. Ci sono, infine, i ricordi di viaggio: Venezia, Roma, Milano, Trieste con le loro guide turistiche, i loro souvenirs, le loro valigette ed anche la sacca da viaggio preziosamente ricamata che fu regalata per un sognato viaggio di nozze.

Molti di questi piccoli, grandi viaggi, vissuti intensamente, furono riversati nei diari e nella fitta corrispondenza attraverso la quale si comunicavano gli eventi quotidiani, le gioie ed i dolori, le emozioni ed i sogni.

 

 

 

 

 

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